Giurisprudenza

31 Gennaio 2018

Scissione temporale e interruzione della prescrizione

Scissione temporale e interruzione della prescrizione

Scissione temporale e interruzione della prescrizione – La Corte Suprema di Cassazione – sezioni unite civili – con la sentenza n. 24822 del 9 dicembre 2015 affronta il problema dei limiti di estensione del principio della diversa decorrenza degli effetti della notificazione nelle sfere giuridiche, rispettivamente, del notificante e del destinatario (introdotta dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 477/2002), relativamente al termine di interruzione della prescrizione ex art. 2903 c.c..

Secondo l’indirizzo prevalente (pur essendovi decisioni di senso contrario ma sul punto v. anche Cass. n.18399 del 2009; S.U. n.8830 del 2010) la scissione degli effetti per il mittente e per il destinatario si applica solo alla notifica degli atti processuali e non a quella degli atti sostanziali, né agli effetti sostanziali degli atti processuali.

La consegna dell’atto di citazione introduttivo del giudizio quando ancora non sia scaduto il termine di prescrizione quinquennale di cui all’art. 2903 c.c. rende tempestivo l’esercizio dell’azione revocatoria. Nel caso specifico la richiesta di notifica della domanda di revocatoria ex art. 2901 c.c. mediante consegna all’ufficiale giudiziario, è condizione sufficiente per interrompere la prescrizione.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

(Attori Omissis) convennero, davanti al tribunale di Busto Arsizio, le società (Omissis) ed (Omissis), il Comune di (Omissis), (Omissis) in proprio e nella qualità di legale rappresentante dell’impresa individuale immobiliare (Omissis), (Omissis), (Omissis), chiedendo, in qualità di confideiussori della (Omissis), già intimati in regresso da altro fideiussore, che la società fosse dichiarata tenuta, ex artt. 1950 e 1953 c.c., a procurare la loro liberazione, ovvero ad apprestare le garanzie necessarie al soddisfacimento del loro diritto di ulteriore regresso.
Gli attori chiesero, inoltre, che fosse pronunciata, ai sensi dell’art. 2901 c.c., l’inefficacia, nei loro confronti, dell’atto del 17 novembre 1999 con il quale la (Omissis) aveva venduto alla (Omissis) alcuni terreni edificabili siti nel Comune di (Omissis) e della convenzione edilizia conclusa tra la società acquirente e l’Amministrazione comunale per la realizzazione di un programma edificatorio, nonché il risarcimento dei danni.
Il Tribunale rigettò la domanda ex art. 1950 e 1953 c.c. proposta nei confronti della società (Omissis); dichiarò prescritta l’azione revocatoria relativa alla compravendita immobiliare del 17 novembre 1999 tra la (Omissis) e la (Omissis) s.a.s.; dichiarò la carenza di giurisdizione del giudice ordinario in ordine all’azione revocatoria relativa alla convenzione edilizia; rigettò la richiesta di risarcimento danni.
Queste statuizioni furono confermate dalla Corte di Appello di Milano che, con sentenza del 12.7.2011, rigettò l’appello proposto dagli originari attori.
Hanno proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi illustrati da memoria (Omissis) e (Omissis).
Resiste con controricorso il Comune di (Omissis).

Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.
La Terza Sezione Civile della Corte di cassazione, con ordinanza del 26.1.2015, emessa all’esito dell’udienza del 6.11.2014, ha trasmesso gli atti al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.
Il Primo Presidente ha provveduto in tal senso.
Il ricorso è stato chiamato alla presente udienza davanti alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La questione posta dall’ordinanza di rimessione
La questione riguarda i limiti di estensione del principio della diversa decorrenza degli effetti della notificazione nelle sfere giuridiche, rispettivamente, del notificante e del destinatario.
E’ chiesto un intervento chiarificatore delle Sezioni Unite sui limiti di operatività del principio: se debba, cioè, essere riferita ai soli atti processuali, o possa essere ampliata alla notificazione di atti sostanziali od, eventualmente, di atti processuali che producano effetti anche sostanziali.
Il quesito è relativo alla notificazione dell’atto di citazione in revocatoria ed, in particolare, quel che si tratta di individuare è il momento di interruzione della prescrizione ex art. 2903 c.c..
Il problema, quindi, riguarda l’estensione del principio della differente decorrenza degli effetti della notificazione per il notificante e per il destinatario.
La portata della regola – che è stata introdotta nell’ordinamento dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 477 del 2002 e che, successivamente, è stata recepita dal legislatore nell’art. 149 c.p.c., – è stata circoscritta da numerose decisioni della Corte di Cassazione.
Per Cass. n. 9303 del 2012, la regola della differente decorrenza degli effetti della notificazione non trova applicazione in tema di esercizio del diritto di riscatto dell’immobile locato da parte del conduttore ai sensi dell’art. 39 della legge 27 luglio 1978, n. 392.
Nella decisione è stato sottolineato il carattere ricettizio della dichiarazione di riscatto, affermando che “affinchè possa operare la presunzione di conoscenza della dichiarazione diretta a persona determinata stabilita dall’art. 1335 cod. civ., occorre la prova, il cui onere incombe al dichiarante, che la stessa sia stata recapitata all’indirizzo del destinatario, e cioè, nel caso di corrispondenza, che questa sia stata consegnata presso tale indirizzo”.
Ai fini dell’operatività della presunzione è stato quindi ritenuto insufficiente un tentativo di recapito ad opera dell’agente postale, tutte le volte in cui questo, ritenuto – sia pure a torto – il destinatario sconosciuto all’indirizzo indicato nella raccomandata, ne abbia disposto il rinvio al mittente, stante la mancanza, in casi siffatti, di ogni concreta possibilità per il soggetto al quale la lettera è diretta, di venirne a conoscenza. Si è segnatamente esclusa la possibilità di richiamare, in senso contrario, la disciplina del recapito delle raccomandate con deposito delle stesse presso l’ufficio postale e rilascio dell’avviso di giacenza, evidenziandosi come, in tal caso, sussista comunque la possibilità di conoscenza del contenuto della dichiarazione, tanto più che questa si ritiene pervenuta all’indirizzo indicato solo dal momento del rilascio dell’avviso di giacenza del plico”.
L’atto con il quale è esercitato il diritto potestativo di riscatto, quindi, si esercita attraverso una dichiarazione unilaterale ricettizia di carattere negoziale, idonea a determinare ex lege l’acquisto dell’immobile a favore del retraente.
Una tale dichiarazione produce i propri effetti solo una volta che sia pervenuta a conoscenza della controparte o, comunque, in base alla presunzione di cui all’art. 1335 c.c., nella sfera di normale conoscibilità della persona interessata.
Secondo la decisione, il principio della scissione soggettiva della notificazione, trovando la sua giustificazione nella tutela dell’interesse del notificante a non vedersi addebitato l’esito intempestivo del procedimento notificatorio per la parte sottratta alla sua disponibilità, è stato implicitamente circoscritto dalla stessa Corte Costituzionale ai soli atti processuali.

L’estensione della regola fuori da tale ambito sarebbe in contrasto con il principio generale di certezza dei rapporti giuridici che, ai fini dell’efficacia degli atti unilaterali ricettizi, richiede la conoscenza o conoscibilità dell’atto da parte della persona interessata.
Eguale regola è affermata da Cass. n. 15671 del 2011 secondo la quale la mera consegna all’ufficiale giudiziario dell’atto di accettazione della proposta di alienazione del fondo rustico non è idonea a interrompere il decorso del termine prescrizionale per l’esercizio del diritto di riscatto spettante all’affittuario, essendo a questo fine necessario che l’atto sia giunto a conoscenza, ancorché legale e non necessariamente effettiva, del soggetto al quale è diretto.

Altro profilo di intuitiva delicatezza è quello dell’interruzione della prescrizione che, ai sensi dell’art. 2943 c.c., consegue alla notificazione dell’atto di citazione.
Cass. n. 13588 del 2009, seguendo l’indirizzo prevalente, ha affermato che la consegna all’ufficiale giudiziario dell’atto da notificare non è idonea ad interrompere il decorso del termine prescrizionale del diritto fatto valere. Ciò perché ” il principio generale – affermato dalla sentenza n. 477 del 2002 della Corte costituzionale – secondo cui, quale sia la modalità di trasmissione, la notifica di un atto processuale si intende perfezionata, dal lato del richiedente, al momento dell’affidamento dell’atto all’ufficiale giudiziario, non si estende all’ipotesi di estinzione del diritto per prescrizione in quanto, perché l’atto, giudiziale o stragiudiziale, produca l’effetto interruttivo del termine, è necessario che lo stesso sia giunto alla conoscenza (legale, non necessariamente effettiva) del destinatario”.

Negli stessi termini Cass. n. 18759 del 2013. Secondo l’indirizzo prevalente (pur essendovi decisioni di senso contrario cui si accennerà in seguito; ma sul punto v. anche Cass. n.18399 del 2009; S.U. n.8830 del 2010) la scissione degli effetti per il mittente e per il destinatario si applica solo alla notifica degli atti processuali e non a quella degli atti sostanziali, né agli effetti sostanziali degli atti processuali. Questi ultimi, pertanto, producono i loro effetti soltanto dal momento in cui pervengono all’indirizzo del destinatario, a nulla rilevando il momento in cui siano stati consegnati dal notificante all’ufficiale giudiziario od all’ufficio postale.

L’ordinanza, sul presupposto che i valori costituzionali perseguiti con il principio della “scissione” sarebbero insensibili alla natura – processuale o sostanziale – degli effetti dell’atto notificato, propone una serie di argomenti a sostegno della necessità di rimeditare l’orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimità, ampliando lo spazio di azione della regola della diversa decorrenza.

Il principio trova la sua giustificazione nella necessità di coordinare la garanzia di conoscibilità dell’atto da parte del destinatario con l’interesse del notificante a non vedersi addebitato l’esito intempestivo di un procedimento notificatorio parzialmente sottratto ai suoi poteri di impulso.
L’ordinanza, poi, si sofferma sulla principale obiezione mossa all’estensione del principio di scissione degli effetti alla notificazione degli atti sostanziali. Nessuna lesione alla certezza del diritto, infatti, potrebbe provocare l’applicazione di una regola che presuppone per la sua piena operatività che il procedimento di notificazione sia portato a regolare compimento, con la piena garanzia di conoscenza (o, quanto meno, di conoscibilità legale) dell’atto da parte del destinatario.

Tale esigenza di certezza, peraltro, si pone in termini analoghi anche in relazione ai soli effetti processuali dell’atto notificato, in ordine ai quali la regola della scissione degli effetti costituisce ormai un punto fermo nel panorama dell’ordinamento positivo.

La posizione giuridica del destinatario, infatti, non risente di maggior incertezza solo perché la diversa decorrenza degli effetti venga fatta operare ai fini sostanziali anziché nell’ambito processuale.

L’orientamento contrario all’estensione della regola agli atti sostanziali – secondo l’ordinanza di rimessione – sarebbe poi immotivato proprio nei casi in cui un effetto sostanziale sia conseguibile soltanto con la notificazione di un atto processuale.

Il riferimento, in particolare, è al termine di prescrizione dell’azione revocatoria, che non potrebbe essere interrotto se non mediante la notificazione dell’atto di citazione.

In queste fattispecie, la consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario per la notificazione non è solo un incombente materiale di per sé significativo della cessazione dello stato di protratta inerzia che giustificherebbe altrimenti l’estinzione del diritto, ma rappresenta l’esercizio di un vero e proprio diritto potestativo del creditore al quale corrisponde, in capo al debitore, non già un obbligo di prestazione, ma uno stato di mera attesa e soggezione all’altrui iniziativa giudiziale. In tali evenienze, il creditore deve essere ammesso ad esercitare il suo diritto, usufruendo del termine prescrizionale per intero e non al “netto” dei giorni di ritardo ipoteticamente ascrivibili all’agente notificatore. Il richiamo al normale carattere recettizio dell’atto unilaterale ex artt. 1334 e 1335 c.c., pertanto, dovrebbe cedere se messo in relazione, in forza di un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2943 c.c., alla notificazione di un atto che soggiace ad un principio generale la cui ratio è quella di tenere indenne il notificante delle cause di perenzione non ascrivibili alla sua responsabilità.

2. La portata della sentenza della Corte costituzionale n. 477 del 2002.

Originariamente la notifica si perfezionava al momento della conoscenza o conoscibilità legale del destinatario: e questa conclusione era coerente, sia con la natura del procedimento di notificazione (attività che si perfeziona al momento in cui l’atto notificato è conosciuto o conoscibile dal destinatario), sia con la natura di atto recettizio dell’atto da notificare (ovviamente questa considerazione vale solo per gli atti recettizi).

L’incostituzionalità viene affermata sia sotto il profilo del diritto di difesa (e qui il riferimento è circoscritto agli atti giudiziari e amministrativi), sia sotto il profilo della ragionevolezza (un effetto di decadenza che discende dal ritardo di un’attività non imputabile al notificante; fin quanto del tutto estranea alla sua sfera di disponibilità).
Va rilevato che nella impostazione della Corte costituzionale il parametro del diritto di difesa appare svolgere una funzione logica complementare e aggiuntiva: il vero parametro di costituzionalità è il principio di ragionevolezza.

3. Capacità espansiva dei principi affermati nella sentenza della Corte costituzionale.

Se non ci fosse stata la sentenza della Corte costituzionale la norma del 2943 c.c. sarebbe stata risolutiva per dirimere la questione, ma la sentenza della Corte cost. incide proprio sulla interpretazione del termine notificazione di cui all’art. 2943 c.c..
In altri termini, dobbiamo dare una interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione dell’art. 2943 c.c.. Diversamente, dovremmo affermare che la sentenza costituzionale, mentre ha inciso su tutte le altre disposizioni normative in cui ricorre il termine notificazione di un atto processuale non ha inciso proprio sull’interpretazione dello stesso termine ricorrente nell’art. 2943 c.c.: disparità interpretativa difficilmente razionalizzabile.
Si tratta ora di valutare la portata espansiva della pronuncia della Corte nell’interpretazione delle norme vigenti.
Il richiamo al diritto di difesa suggerirebbe una limitazione delle potenzialità interpretative del principio costituzionale ai soli atti in cui viene effettivamente in rilievo il diritto di difesa: atti giudiziari e amministrativi.
Ma si è appena visto che la ratio decidendi della pronuncia costituzionale è – prima ancora che il diritto di difesa- il principio di ragionevolezza.
E tale principio ha una potenzialità espansiva -sul piano interpretativo notevolmente superiore rispetto al principio di difesa.

3.1. Il principio di ragionevolezza implica un bilanciamento dei beni in conflitto.

All’esito del bilanciamento un bene viene sacrificato a vantaggio di un altro bene. La tecnica del bilanciamento avviene attraverso vari steps:
a) primo step: il sacrificio di un bene deve essere necessario per garantire la tutela di un bene di preminente valore costituzionale (per esempio, certezza e stabilità delle relazioni giuridiche);
b) secondo step: a parità di effetti, si deve optare per il sacrificio minore;
c) terzo step: deve essere tutelata la parte che non versa in colpa;
d) quarto step: se entrambe le parti non sono in colpa, il bilanciamento avviene imponendo un onere di diligenza – o, comunque, una condotta (attiva o omissiva) derivante da un principio di precauzione – alla parte che più agevolmente è in grado di adempiere.

4. Non esiste una soluzione generalizzata per tutte le norme e per tutti i casi.

Con la tecnica del bilanciamento la Corte costituzionale (ma lo stesso procedimento logico lo adotta la Corte Edu) costruisce una norma traendola dalla disposizione di legge.
Il giudice ordinario per compiere una interpretazione costituzionalmente orientata deve procedere allo stesso modo:
– esaminare una singola disposizione;
– individuare i beni in conflitto;
– compiere un giudizio di bilanciamento secondo i passaggi logici sopra indicati;
– infine, estrarre la norma dalla disposizione.
E’ proprio nella natura della tecnica del bilanciamento che una soluzione normativa valida per una disposizione non sia valida per un’altra: proprio perché nel giudizio di bilanciamento è ben possibile che in un caso normativo si dia preminente tutela al notificante e in altro caso normativo (cioè in riferimento ad un’altra disposizione: parliamo -inutile dirlo- di norme e non di casi pratici specifici) si dia tutela al notificato.

5. La scissione soggettiva degli effetti della notificazione: non è un principio valido per tutte le ipotesi normative.

La giurisprudenza solitamente vede con disfavore questa scissione.
Le obiezioni ricorrenti sono due:
a) la teoria dell’atto ricettizio: nel caso degli atti ricettizi, la fattispecie si perfeziona con la consegna. Pertanto, prima della consegna la fattispecie è incompleta e una fattispecie incompleta non può produrre effetti;
b) la teoria della notificazione: la notificazione è una fattispecie a formazione progressiva, prima che sia perfezionata (con la conoscenza o conoscibilità legale da parte del destinatario), siamo in presenza di una fattispecie imperfetta e la fattispecie imperfetta non produce effetti.
Al fondo, le remore giurisprudenziali e dottrinali verso il principio di scissione sancito dalla Corte costituzionale si riassumono in un timore: il pregiudizio per il superiore principio della certezza delle situazioni giuridiche.
Tale timore può essere dominato se si considera che, in realtà, il principio di scissione comporta una distinzione tra l’an e il quando degli effetti della notifica.
Invero:
a) se la notifica non si perfeziona, la notifica non produce effetto alcuno e decadono anche gli effetti provvisoriamente prodotti: se non si realizza l’an, è inutile pure discutere del quando.
b) se la notifica si perfeziona, gli effetti di essa retroagiscono per il notificante al momento in cui ha consegnato all’ufficiale giudiziario (ma lo stesso discorso vale per le notifiche a mezzo posta) l’atto da notificare. In altri termini, tale consegna produce per il notificante effetti immediati e provvisori, che si stabilizzano e diventano definitivi se e solo se la notifica viene validamente perfezionata.
Come si vede, la scissione soggettiva della notifica non pregiudica minimamente il valore della certezza delle situazioni giuridiche perché:
– se la notifica non si perfeziona, nessun effetto si produce e gli effetti provvisori eventualmente prodotti si annullano;
– se la notifica si perfeziona, le situazioni giuridiche sono certe perché vengono individuati con certezza i due momenti in cui gli effetti differenziati si producono: per il notificante al momento della consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario, per il notificato al momento della ricezione legale dell’atto.

5.1. Il vero problema è l’incertezza giuridica medio tempore.

Cioè nel periodo di tempo tra la consegna da parte del notificante dell’atto per la notifica e la ricezione legale dell’atto da parte del notificato.
E’ questa grigia zona di tempo in cui domina l’incertezza giuridica per il notificante ed il destinatario che va chiarificata.
Ed è qui che opera la tecnica interpretativa del bilanciamento che -come si è detto- non vale in generale, ma soltanto per categorie di atti.
A) gli atti processuali.
Il notificante ha un termine a difesa o, comunque, un termine per svolgere la sua attività processuale.
Questo termine gli deve essere riconosciuto per intero.
Quindi, egli va tutelato anche se consegna l’atto all’ufficiale giudiziario proprio allo scadere del termine.
Non gli si può obiettare: “per un principio di precauzione (che ti impone un onere di prudenza e diligenza), avresti dovuto consegnare l’atto all’ufficiale giudiziario qualche giorno prima in modo da garantirti una notifica nei termini”
Infatti, la controreplica è agevole: “quanti giorni prima ?”. E’ proprio qui che si anniderebbe l’incertezza giuridica che invece si vorrebbe garantire.
Infatti, non può stabilirsi a priori quando un anticipo può dirsi congruo. Ed ancora: ” chi mi garantisce che se consegno l’atto all’ufficiale giudiziario una settimana prima, la notifica avverrà nei termini ? E se avviene fuori termine lo stesso, che succede ?”
Alla fine, c’è un argomento risolutivo: “se la legge mi riconosce un termine di 30 giorni per espletare una attività difensiva, perché lo devo ridurre a 15 o a 20 per avere (non la sicurezza) ma la probabilità della notifica nei termini ?”.
Quello che si è appena detto per gli atti difensivi, vale per tutti gli atti processuali. Non sarebbe ragionevole distinguere tra atti processuali difensivi e gli altri atti processuali: la soluzione deve essere la stessa per tutti gli atti per i quali la legge riconosce ad una parte un potere di agire processuale.
Va aggiunto che nessun pregiudizio (se non quello psicologico dell’attesa) subisce il notificato: il dies a quo per le sua facoltà processuali -riconosciute per quel tipo di atto dall’ordinamento- scatterà dal momento della notifica.
Quindi per gli atti processuali tutti, senza distinzione tra diritto di difesa e altre attività processuali – opera il principio di scissione.
In questo caso entrambe le parti sono incolpevoli, ma il legislatore ha allocato la perdita sul notificante.
B) Gli atti negoziali unilaterali.
Per gli atti sostanziali la tecnica del bilanciamento è preclusa da una norma specifica (art. 1334 cc): qui il bilanciamento lo ha già fatto il legislatore. Sta di fatto che l’inequivoco testo della norma (qui viene in rilievo il pur discusso brocardo in claris non fit interpretatio) preclude all’interprete ogni diversa interpretazione rispetto a quella fatta palese dal significato delle parole.

6. La revocatoria e la decisione di questa Suprema Corte.

La domanda di revocatoria ha un effetto processuale e un effetto sostanziale.
La giurisprudenza ( Cass. 29.11. 2013 n. 26804) è incline a ritenere che l’effetto interruttivo della prescrizione si verifichi al momento della notifica al destinatario dell’atto di citazione.
Tale affermazione fonda le sue radici sul fatto che la decorrenza degli effetti dalla notifica al destinatario assicura la certezza delle situazioni giuridiche.
Agli argomenti addotti è agevole ribattere:
a) la regola dell’art. 1334 c.c. è dettata (come risulta anche dalla sedes in cui è collocata) per gli atti negoziali: l’atto di citazione non è un atto negoziale, ovviamente.
b) si tratterebbe allora di estendere l’art. 1334 c.c. agli atti processuali con effetti sostanziali.
Ma qui c’è lo sbarramento del criterio ermeneutico letterale: pertanto, nessuna interpretazione estensiva consente di applicare una regola nata per regolare atti negoziali unilaterali agli atti processuali.
c) occorrerebbe allora procedere in via di interpretazione analogica: ma non c’è nessuna analogia tra atti negoziali e atti processuali.
Anziché la eadem ratio, c’è la ratio contraria: il principio fissato dalla Corte costituzionale tutela il diritto di agire e -prima ancora- il principio di ragionevolezza.
Ora, la giurisprudenza prevalente applica la regola dell’art. 1334 per analogia, ma in presenza di presupposti contrari all’analogia, ad un atto processuale sacrificando il diritto di azione.
Ma c’è di più: si è visto che il principio affermato dalla Corte costituzionale ha una portata espansiva potenzialmente applicabile a tutti gli atti (processuali e negoziali) in quanto il parametro di costituzionalità utilizzato dalla Corte costituzionale non è solo il diritto di difesa, ma soprattutto il principio di ragionevolezza.
L’espansione in via interpretativa agli atti negoziali è impedita dall’esistenza di una norma specifica (l’art. 1334 c.c. appunto).
Ora, dove tale norma non opera, deve espandersi il principio generale: art. 12 delle preleggi, cioè non l’analogia legis (quindi applicazione analogica dell’art. 1334 agli atti processuali ad effetti sostanziali), bensì l’analogia iuris (cioè applicazione agli atti – ove una norma specifica non disponga diversamente – del principio generale sancito dalla Corte costituzionale).
d) l’interpretazione prevalente si espone ad un’ulteriore obiezione: essa afferma che nell’atto di citazione si dovrebbe vedere anche una costituzione in mora (dunque, un atto recettizio).
La giurisprudenza dominante purtroppo non approfondisce il tema, ma opera una sorta di commistione tra effetti sostanziali e struttura dell’atto.
Dovremmo ritenere che secondo la giurisprudenza dominante l’atto di citazione per revocatoria abbia una duplice natura: processuale-negoziale ?
Ma questa è una costruzione arbitraria non consentita dalle norme: ad essere consequenziali dovremmo allora ritenere che i vizi dell’atto negoziale di costituzione in mora (quale ad esempio un vizio di volontà) si propaghi all’atto processuale della citazione contro il principio consolidato dell’irrilevanza della volontà negli atti processuali.
Dunque, l’assunto inespresso ma presente nella giurisprudenza prevalente (quella della duplice natura processuale e negoziale: atto di citazione e contemporaneamente costituzione in mora) porta ad un groviglio di problemi.
In sostanza sovrappone gli effetti dell’atto alla natura dell’atto: che un atto processuale produca effetti sostanziali non significa che esso cambi natura: o per meglio dire sviluppi una doppia natura, natura formale (atto di citazione) e una natura nascosta ma baluginante (atto di costituzione in mora);
e) da ultimo, l’invocato principio della certezza dei rapporti giuridici. In questa obiezione c’è un aspetto paradossale: quasi che la certezza giuridica riguardi solo gli atti sostanziali e non anche gli atti processuali.
Anche per gli atti processuali (il processo ci sta proprio per questo) vale il principio della certezza giuridica.
Ma come si è a suo tempo visto, è apodittico affermare che la certezza giuridica sia tutelata soltanto dalla regola che gli effetti dell’atto si producono solo dal momento della notifica al destinatario e non dalla regola che tali effetti possono provvisoriamente prodursi fin dal momento della consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario, salvo il consolidamento definitivo degli effetti al momento di perfezionamento della fattispecie.
L’incertezza giuridica è solo temporanea (e concerne il periodo tra consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario e sua notifica al destinatario).
Ora, questa incertezza temporanea destinata a dissolversi alla fine nella certezza giuridica è -per così dire- una servitus iustitiae, cioè un danno temporaneo che ben può essere imposto ad una parte incolpevole (il notificando) per evitare un danno ben più grave e definitivo al notificante, parte ugualmente incolpevole.
Più in generale, se il diritto si estingue per prescrizione quando non è esercitato, ciò che vale ad impedire che la prescrizione maturi è che il diritto sia esercitato.
Se il diritto deve o può esserlo dando inizio al giudizio, dare inizio al giudizio è atto di esercizio del diritto e quindi ciò che rileva è che l’avente diritto abbia compiuto gli atti necessari per iniziarlo, non che nel termine l’obbligato lo venga a sapere; se è stato iniziato ed è stato fatto quanto necessario perché sulla sua base prosegua, il convenuto sarà posto in grado di difendersi a proposito della tempestività dell’atto di inizio.

Ciò vuol dire che, per impedire il maturarsi della prescrizione, è necessario che il diritto sia stato esercitato nel termine.
E questo è un fatto oggettivo, che non dipende dalla conoscenza che l’obbligato ne abbia; il completamento del procedimento di notificazione, necessario perché la prescrizione non si perfezioni, mette il convenuto nella condizione di verificare se la prescrizione si è o no maturata.

La soluzione accolta, che applica la tecnica interpretativa del bilanciamento, è del tutto ragionevole.
Invero:
– il notificante non ha colpe;
– il notificato lucra sul ritardo dell’ufficiale giudiziario;

Dunque, il notificante subisce un danno senza colpa (quello che doveva fare l’ha fatto nei termini) il notificato gode di un vantaggio senza merito: è il puro caso che gli attribuisce il guadagno.
Si tratta di scegliere se allocare la perdita sulla parte incolpevole e allocare il guadagno sulla parte immeritevole.

La giurisprudenza qui criticata, in sostanza, fa decidere al caso il torto e la ragione.
Ma è proprio applicando la tecnica del bilanciamento che si trova la soluzione.
Non si può allocare sul notificante incolpevole la perdita definitiva del diritto quando basterebbe imporre al notificato il lieve peso di un onere di attesa, dettato dal principio di precauzione.
Entrambe le parti sono incolpevoli.
Ma nel bilanciamento tra la perdita definitiva del diritto per una parte e un lucro indebito per l’altra parte, la soluzione più razionale è quella di salvaguardare il diritto di una parte incolpevole ponendo a carico dell’altra parte – parimenti incolpevole – un pati, cioè una situazione di attesa che non pregiudica, comunque, la sua sfera giuridica.
Da ultimo, si potrebbe obiettare: la tecnica del bilanciamento porta a soluzioni opposte per gli atti sostanziali e per quelli processuali: nel primo caso il bilanciamento operato dal legislatore (art. 1334 c.c.) privilegia il notificato, nel secondo caso (bilanciamento operato dalla giurisprudenza mediante interpretazione) si privilegia il notificante.

In realtà, si tratta di conflitto apparente: si è premesso e più volte ripetuto che è proprio nella logica del bilanciamento che non può esservi una soluzione valida per tutti i casi.

Nel nostro caso, gli opposti esiti del bilanciamento derivano dalla opposta natura degli atti che vengono in rilievo: atti sostanziali e atti processuali. Per gli atti negoziali unilaterali un diritto non può dirsi esercitato se l’atto non perviene a conoscenza del destinatario. Per gli atti processuali il diritto (processuale) è esercitato con la consegna dell’atto all’ufficio notificante.

La ratio posta a base di queste opposte soluzioni (atti negoziali unilaterali e atti processuali) implica una fondamentale actio finium regundorum: la soluzione a favore del notificante vale nel solo caso in cui l’esercizio del diritto può essere fatto valere solo mediante atti processuali.
In ogni altro caso – e indipendentemente dalle scelte del soggetto che intende interrompere la prescrizione (l’ordinamento non può consentire che il pregiudizio per la parte destinataria, incolpevole, derivi dalle scelte arbitrarie e ad libitum della controparte) – opera la soluzione opposta.
In conclusione, quando il diritto non si può far valere se non con un atto processuale, non si può sfuggire alla conseguenza che la prescrizione è interrotta dall’atto di esercizio del diritto, ovvero dalla consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario per la notifica.

7. L’esame del ricorso.

Alla luce dei principii enunciati va ora esaminato il ricorso.
I ricorrenti hanno proposto due motivi:
1) violazione o falsa applicazione delle norme di cui agli articoli 2903 c.c., 2943 c.c. e 149 c.p.c., per aver erroneamente ritenuto che la consegna all’Ufficiale Giudiziario, dell’atto di citazione da notificare, non sia idoneo ad interrompere il decorso del termine prescrizionale previsto dall’art. 2903 c. c..
2) violazione o falsa applicazione delle norme di cui agli articoli 1953 c. c. e 1950 c.c. per aver erroneamente ritenuto che dopo l’avvenuto pagamento – sia pure ad opera di altro coobbligato come nella specie – c’è solo la surrogazione o il regresso.

Il primo motivo è fondato in conseguenza delle conclusioni raggiunte sul tema dei tempi e dei modi di interruzione della prescrizione dell’azione revocatoria, oggetto del giudizio di merito.
La consegna dell’atto di citazione introduttivo del giudizio in data 17.11.2004, quando ancora non era scaduto il termine di prescrizione quinquennale di cui all’art. 2903 c.c. rende tempestivo l’esercizio dell’azione revocatoria.

Conseguente è il suo esame nel merito.

Il secondo motivo non è fondato.
E’ fuor di discussione che prima del pagamento il fideiussore possa esercitare, a sua scelta, contro il debitore principale, o l’azione di rilievo c.d. per liberazione, o l’azione di rilievo c.d. per cauzione.

Questo, però, solo nei cinque casi previsti dall’art. 1953 c.c.. e soltanto, prima del pagamento, poiché, dopo, può essere esercitata solo la surrogazione ed il regresso ( v. anche Cass.13.5.2002 n. 6808 indipendentemente dalla circostanza che si tratti di confideiussione o di fideiussione alla fideiussione).

La conclusione non cambia se, in luogo del debitore principale, il pagamento interviene ad opera di uno dei confideiussori ( nel caso in esame il (Omissis)), che si surroga poi nelle ragioni creditorie nei confronti degli altri fideiussori.

Ciò che conta è la funzione della norma dell’art. 1953 c.c. che ha carattere preventivo e cautelare e che, quindi, non può più trovare applicazione quando i presupposti per il suo esercizio sono venuti meno (a seguito del pagamento).

Conclusivamente, è rigettato il secondo motivo ed è accolto il primo.

La sentenza è cassata in relazione e la causa è rinviata alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione.
Le spese sono rimesse al giudice del rinvio.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo, rigetta il secondo. Cassa in relazione e rinvia anche per le spese alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili, in data 7 luglio 2015

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