6 Aprile 2019
Il problema della giustizia nel procedimento esecutivo – Brasilia 04 aprile 2019
PREMESSA – In questo lavoro parlerò di filosofia, di quella della giustizia e di quella del di- ritto. Di tutti i giuristi, noi ufficiali giudiziari siamo, per forza di cose, i più pratici fra i pra- tici, questo vuol dire che la filosofia non ci debba interessare?
Tutt’altro! Proprio perché noi agiamo in quell’area ove il diritto cessa di operare con le sue categorie ed impatta con la complessità del reale, proprio perché dobbiamo rendere giusti- zia su due piedi non poterci rifare ad un repertorio giurisprudenziale e normativo se non quello che ci portiamo nella nostra testa, abbiamo bisogno più di altri della filosofia, solo questa ci dà gli strumenti per affrontare la complessità del reale e dell’animo umano!
Forse una scena della commedia di Shakespeare “Il mercante di Venezia” può spiegare molto di più di tante parole: l’ebreo Shylock aveva convenuto con Antonio, ricco mercante di Venezia, che a tutela del suo credito si sarebbe potuto prendere una libbra della sua carne, il giureconsulto padovano (in realtà un travestimento dell’eroina Porzia) che assi- stette il povero Antonio che non poteva più onorare il debito, riconobbe la validità del patto, ma solo una libbra di carne e non una goccia di sangue avrebbe potuto prelevare Shylock!
Mutuando dal grande elisabettiano, la professione di noi ufficiali giudiziari è quella di sa- per prelevare la libbra di carne (il recupero del credito) senza spargere una goccia di san- gue (la tutela dei diritti incomprimibili del debitore, del terzo privato e gli interessi pubbli- ci prevalenti) ed il quadro che apre questo lavoro, “La condanna di Pinocchio”, sta lì a ricordarci che lo studio e la pratica giuridica tutto basato sull’ esprit de geometrie senza la sua parte di esprit de finesse è solo summum ius che non provoca altro che summa inuria, sta a noi impedire che i nostri paesi si trasformino nel paese di Acchiappacitrulli dove capitò lo sfortunato Pinocchio!
Aristotele diceva che la filosofia nasce dallo stupore (θαῦμα) ed effettivamente le teorie dei due filosofi più rilevanti del ‘900 rispettivamente in tema di politica, John Rawls, ed in te- ma di diritto, Hans Kelsen, ognuna affascinante di per se stessa, presentano un dato molto strano; da una parte una teoria della giustizia che non parla del diritto, dall’altra una del diritto muta in materia di giustizia; anzi si potrebbe dire che l’importanza di queste due teorie stia proprio nel fatto che entrambe sono teorie “pure” giacché la teoria politica della giustizia non dà indicazioni su una particolare struttura giuridico – istituzionale e quella del diritto si concentra sulla validità della norma ma non sul contenuto di essa.
Tuttavia l’adozione di queste due teorie in modo parallelo, come tenterò di fare, non con- fina il loro pensiero nella vetrinetta delle belle speculazioni teoriche ma le rafforza en- trambe con dirette conseguenze sul mondo reale e, per confermare ciò, tale approccio è stato messo alla prova nel terreno pratico più ostico, ovvero quello del procedimento esecutivo.
Forse il modo più semplice di introdurci nella teoria della giustizia di Rawls sta nel legge- re quanto egli scrisse nel primo capitolo della sua opera più famosa “A theory of justice” del 1971 ove affermò: “la giustizia è la prima virtù delle istituzioni sociali, così come la verità lo è dei sistemi di pensiero. Una teoria, per quanto semplice ed elegante, deve essere abbandonata o modifi- cata se non è vera. Allo stesso modo, leggi e istituzioni, non importa quanto efficienti e ben conge- gnate, devono essere riformate o abolite se sono ingiuste.
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