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16 Settembre 2019

L’AZIONE ESECUTIVA TRA MATERIA E LOGOS

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16 September 2019

Premessa; – § 1. Logica e filosofia sono amici del diritto?; – § 1.1. Il principio della bivalenza e logiche non classiche; – § 1.1.1. L’intuizionismo di Brouwer; – § 1.1.2. Dalla logica fuzzy alle reti neurali; – § 1.1.3. Un cenno alla logica deontica; – § 2. La vendetta di Zenone; – § 3. Il ruolo dei paradossi; – § 4. Su ciò di cui non si può parlare si deve tacere; – § 5. Ἐν ἀρχῇ ἦν ὁ λόγος; – Conclusioni; – Bibliografia

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Premessa1 – L’incontro tra scienziati e giuristi come tra scienza e diritto a volte dà esiti comici a volte meno.
Ne fece le spese, fra gli altri, Antoine
Lavoisier (1743 – 1794), non uno scienziato qualsiasi ma il padre della chimica moderna, colui che trasformò gli studi alchemici in un nuovo campo scientifico che da allora ad oggi ha influito come pochi alla rivoluzione della vita quotidiana di ognun di noi.
Pur essendo già allora uno scienziato di chiara fama, per la sua appartenenza alla
Ferme Générale (l’odiata società dell’ancien régime deputata alla riscossione delle tasse) e per l’onda lunga dell’avversione di un potente pseudoscienziato ma autentico populista quale Jean-Paul Marat (1743 – 1793) incappò nella furia giacobina del Terrore e fu chiamato avanti ad un tribunale rivoluzionario, ma egli, pur potendo restare alla macchia, preferì costituirsi per difendersi da solo, lui figlio di una famiglia di avvocati ed avvocato lui stesso; purtroppo il risultato fu tragico, quello di venire ghigliottinato lui, suo suocero Jacques Paulze ed altri ventisei fermiers il giorno 8 maggio 1794 tutti sbrigativamente in poco più di mezz’ora.

All’uomo non mancò certo la capacità oratoria, i meriti in campo scientifico, la specchiata onestà e i successi nei tanti incarichi ricoperti nell’interesse della Francia, ma non posso non pensare che un “vero avvocato” avrebbe diversamente consigliato un proprio cliente. Uno più freddamente abituato a soppesare i possibili esiti in relazione alla giuria che storicamente avrebbe emanato quel dato verdetto, avrebbe sicuramente dissuaso il povero Lavoisier di aspettarsi giustizia da un tribunale rivoluzionario in pieno Terrore!
Questo perché, e qui ci inoltriamo al nocciolo di questa discussione, ogni “vero avvocato” (ma potrei dire ogni vero giurista) sa bene che il diritto non è solo un reticolo di norme generali ed astratte ma è anche materia concreta su cui i provvedimenti giudiziari di un ordinamento giudiziario composto da uomini concreti vanno ad impattare.

§ 1. Logica e filosofia sono amici del diritto? – Prima di tentare di rispondere alla superiore domanda (come al suo inverso) si deve dire che il povero Lavoisier non fu il solo ad incappare in tale triste epilogo, fu preceduto infatti da Socrate (470 / 469 – 399 a. C.), condannato a morte per blasfemia, che si volle anch’egli difendere personalmente e fu così che il più grande dei sofisti, l’autore della maieutica e del metodo dell’ironia che non temeva nessun avversario nei più acuti dibattiti filosofici fu costretto a bere la cicuta.
Che si tratti del processo a Socrate, a Gesù il Nazareno, a Tommaso Moro, a Giordano Bruno, a Galileo Galilei o al nostro Lavoisier ci si potrebbe forse domandare se più che il diritto in sé furono i suoi funzionari a farsi
instrumentum regni dell’oppressione politica ovverosia, detto altrimenti, se questi giganti del pensiero umano furono vittima della maligna applicazione del diritto da parte di corti asservite ad un disegno politico oppure se è proprio lo stesso diritto, composto non solo da norme storicamente date ma da soggetti che materialmente lo interpretano/eseguono, sia da imputare come responsabile di tali ingiustizie.

Che il diritto sia un fenomeno umano, umano a tutto tondo nella sua complessità e quindi con i suoi umani limiti, non è messo in dubbio da nessuno; la prima risposta (l’infedele o prevaricante applicazione umana) risolverebbe troppo facilmente la questione, la seconda risposta (il diritto come strumento incapace di giudicare rettamente oggetti, quale il pensiero, che allorquando si pone come radicale, innovativo ed eterodosso, rischia di essere avvertito come eversivo e/o pericoloso per l’ordine costituito) è invece di una tale radicalità che anch’essa non può esser data a cuor leggero.

In realtà non si hanno solo epiloghi più o meno tragici, si tratta di un rapporto di odio/amore che ha sempre attraversato la storia degli uomini.
Ad esempio, Gottfried Wilhelm
Leibniz (1646 – 1716), un filosofo tedesco che diede un grande contributo alla matematica e che può essere definito il primo grande logico dell’epoca moderna, era un laureato in giurisprudenza con una tesi sulle antinomie giuridiche (De casis perplexis in iure) e si guadagnava da vivere come diplomatico a servizio dei vari principati europei; nel 1666 pubblicò De arte combinatoria in cui, sviluppando le idee del matematico catalano Ramon Llull (Raimondo Lullo 1232 – 1316), teorizzava una macchina calcolatrice sognando un giorno in cui avvocati o diplomatici come lui si sarebbero potuti sedere intorno ad un tavolo e risolvere i problemi giuridici o altre questioni semplicemente dicendo: calculemus!
Si può quindi ben dire che se è pur vero che il diritto (e i suoi funzionari) si siano macchiati di gravi crimini contro il pensiero, altrettanto vero è che il diritto ha sempre cercato nella chiarezza del pensiero, ed in particolare in quello logico, lo strumento per facilitare il lavoro del giurista.
Alla luce di tutto ciò si potrebbero riformulare i termini della questione come sopra posta in tal modo: se la filosofia e/o la scienza si fanno
ancillae iuris allora sono strumenti benvenuti ma allorquando il pensiero mira ad affermare una sua verità ed una sua autonomia a prescindere dall’ordinamento costituito il conflitto diventa inevitabile e con esiti anche radicali?
A ben vedere nei casi dei processi a Socrate, a Gesù il Nazareno, a Tommaso Moro e a Giordano Bruno se si arrivò alla condanna capitale non fu certamente per l’incapacità dell’imputato a difendersi ma perché, posti nell’alternativa tra il testimoniare i propri assunti anche con la propria vita e quella di abiurare, questi scelsero la coerenza. I casi in ultimo elencati sono ovviamente diversissimi, ma, che sia una filosofia umana o una realtà trascendente, in tutti questi casi è stata proprio la testimonianza anche a prezzo della vita a rendersi necessaria per mantenere l’integrità dei propri assunti.
Il caso di Galileo
Galilei (1564 – 1642) fu infatti molto diverso, lo scienziato pisano, storicamente autentica o no l’esclamazione: “eppur si muove!”, non aveva certo bisogno di dover testimoniare con la vita che è la Terra a muoversi intorno al Sole e non viceversa; i dati astronomico – matematici non si sono incrinati di una virgola alla lettura del dispositivo o all’abiura dello scienziato!

A quanto detto si deve anche aggiungere che alcune volte (se non spesso) gli scienziati non riescono proprio a capire il diritto con esiti a volte comici.
Come il caso di Kurt
Gödel (1906 – 1978), definito il più grande matematico del XX secolo ed il più grande logico dopo Aristotele (384 – 322 a C.); una volta riparato negli Stati Uniti perché contrario al nazismo volle acquisire la cittadinanza americana e come “padrini” di tale procedimento amministrativo presentò Albert Einstein ed Oskar Morgenstern. Con tali presentazioni il percorso burocratico poteva essere considerato una mera formalità tuttavia come ultimo ostacolo vi era un colloquio con un funzionario federale americano che doveva valutarne la naturalizzazione; il logico austriaco prese così a cuore la sua naturalizzazione che si mise a studiare alla sua maniera la costituzione americana … tutto stava andando a monte … fu solo l’intervento di Einstein ad evitare il respingimento della domanda perché Gödel pretendeva di spiegare a quel burocrate che la loro costituzione presentava dei vulnus logici!

Il fatto è che le norme non solo ci dettano la regola da seguire e la sanzione in caso d’inadempimento (nomostatica e nomodinamica kelseniana)2 ma il dato normativo esprime nella sua globalità lo statuto ontologico del diritto: la sua semantica e la sua sintassi.
In altri termini le regole giuridiche non solo ci dettano la semantica ovvero un determinato contenuto normativo (se si riscontra la fattispecie A allora ne consegue la sanzione B = nomostatica e la norma che prescrive “se A allora B” è valida e vincolante = nomodinamica) ma anche la sintassi ovvero le norme che ci indicano come dovere interpretare l’intero ordinamento giuridico e loro stesse.

§ 1.1. Il principio della bivalenza e logiche non classiche –Ma le frizioni con la logica non finiscono in questo, la logica classica ha un primo limite: il principio della bivalenza (ovvero le proposizioni che sono soggette al procedimento logico non possono avere che due valori, quello della verità o quello della falsità). Basta aprire un qualsiasi codice e potremo notare come il linguaggio con il quale è composto non presenta questo rigido schematismo ma un’ampia scala di sfumature; i rami della logica che si occupano di tale scala di sfumature si chiamano logiche non classiche.

§ 1.1.1. L’intuizionismo di Brouwer – Una delle prime alternative a quella che oggi viene chiamata “logica classica” fu delineata da Luitzen Egbertus Jan Brouwer (1881 – 1966). Questo logico olandese si opponeva al progetto di Frege3, Hilbert4 e Russell5 di ridurre la matematica alla logica. Pensava, cioè, che la matematica si basasse su “intuizioni” (e da qui la denominazione di tale scuola come “intuizionismo”) riguardo a certi oggetti matematici di base (come numero e retta). In particolare le dimostrazioni matematiche funzionano in maniera differente da quelle logiche, come nel c.d. “argomento del diavolo” in cui la legge del terzo escluso (A ¬ A ovverosia “o è vera la proposizione A o è falsa, tertium non datur”) non funziona ed in matematica ¬ ¬ A (non è vero che A è falsa) non è sempre lo stesso che A (che A è vera).
Brouwer si concentrò principalmente su casi di insiemi infiniti e di successioni infinite. Per esempio, dato l’insieme di tutti i numeri positivi e la successione di cifre che compongono i numeri irrazionali come π o √2, si può “logicamente” ipotizzare che nella estensione di un numero irrazionale come π deve apparire da qualche parte la sequenza “666” (da cui il nome “argomento del diavolo”) infatti sostenere il contrario equivale a dire che in tutta l’infinita estensione non appaia mai tale successione, e ciò non potrà mai essere dimostrato, ma se non è vero che fra tutte le cifre di π non si può trovare la sequenza “666” allora per la legge del terzo escluso è vero che qualche parte in π si troverà la successione. Poiché non è lecito applicare tale “argomento del diavolo” se ne può concludere che la legge del terzo escluso non si applica agli insiemi o alle successioni infinite in matematica.
Dalla idea originaria di escludere l’applicazione di alcune regole di logica classica alle dimostrazioni matematiche si è sviluppata un logica “intuizionista” che non include la regola ¬ ¬ A = A a meno che non esista un metodo chiaro per controllare se ¬ ¬ A sia vera e confinare tale regola solo nei casi di insiemi finiti ma non di insiemi e/o successioni infiniti.
Una caratteristica importante della logica intuizionista è che in essa il metodo della
reductio ad absurdum di Leibniz (dimostrare un enunciato matematico assumendone il suo opposto e conducendo questo ad una contraddizione) non può operare.

Se il grande Gauss6 aveva avvertito i matematici di non cercare mai di sfidare l’infinito né di guardarlo negli occhi, la teoria degli insiemi di Cantor7 ha dispiegato un campo dove Hilbert cercò il suo Paradiso mentre Brouwer vi trovò il diavolo … gli studi logici e matematici sono molto più avvincenti di quel che impariamo sui libri di scuola!

§ 1.1.2. Dalla logica fuzzy alle reti neurali –Negli stessi anni ’20 del secolo scorso il matematico polacco Jan Łukasiewicz (1878 – 1956) affrontò dei vecchi problemi che affliggevano la logica sin dai tempi di Aristotele.
La logica non è equipaggiata a trattare parole come “possibile” e “necessario” né enunciati futuri: “domani ci sarà una battaglia navale” o “nevicherà sul Big Ben tra mille anni” non essendo nel presente ma nel futuro il verificarsi di tali eventi è contingente, cioè né impossibile né necessario e pertanto non possono avere un valore di verità o di falsità ma solo di probabilità.
Circa trent’anni dopo la morte di Aristotele gli stoici cominciarono a difendere la tesi opposta, cioè che tutte le proposizioni, senza eccezione, sono vere o false; ma gli stoici avevano una metafisica perfettamente coerente con questa tesi logica, infatti erano deterministi, cioè credevano che non esistesse niente di contingente e che tutto accadesse per necessità.
Łukasiewicz non affrontò il superiore problema metafisico ma cercò di rielaborare il sistema logico introducendo tra il valore “vero” e quello “falso” quello di “possibile” questo comportava un ripensamento di tutto il sistema logico.
Per rifondare il sistema Łukasiewicz tradusse i valori di verità in numeri ed accanto ai classici valori booleani 1 per vero e 0 per falso assegnò il valore ½ per quello di possibilità.
Usando i numeri, il valore di verità di
A B (A e B) sarebbe il più piccolo tra i valori di verità A e B, quindi se A è 1 e B è ½ allora A B è ½.
Analogamente il valore di A
B (A o B, in questo caso la “o” è una disgiuntiva inclusiva come il latino vel) è il maggiore tra i valori di verità di A e B, e così se A = 0 e B = ½, allora il valore di A B sarà ½.
Il valore di
¬ A sarà “1-“ (quindi 1 meno il valore di A) così che se A è possibile (con valore ½) anche la sua negazione è possibile.

Il risultato di queste considerazioni è che nella logica di Łukasiewicz non funzionano né la legge del terzo escluso “A ¬ A” né la legge di non contraddizione “¬ (A ¬ A)” questo perché tra il vero ed il falso è stata introdotta la categoria del possibile.
La legge di non contraddizione può funzionare solo posta in questo modo “se A è vero, allora ¬ A non può essere anch’esso vero, e viceversa”; a differenza che nella logica intuizionista può invece essere dimostrato che ¬ ¬ A = A.

Ben presto ci si accorse che, così come tra il valore 0 (falso) ed il valore 1 (vero) possiamo inserire il valore ½ (possibile), possono essere immessi molti più valori con vari gradi di possibilità, ad esempio 7 se consideriamo la serie: 0, 1/6, 2/6, 3/6 (= ½), 4/6, 5/6 e 6/6 (= 1) quindi con Łukasiewicz è iniziata una logica “a più valori” o polivalente che è stata successivamente indicata come “logica fuzzy”.
Potremo paragonare la logica classica come una tastiera elettronica dove ogni tasto dia un solo particolare suono allorquando sia premuto mentre la logica
fuzzy come una tastiera elettronica che, come i veri pianoforti, dia un suono diverso se il tasto viene premuto con maggior o minor intensità.
Altre applicazioni sono i programmi di riconoscimento (lessicale, di immagini) detti
pattern recognition che sono efficienti allorquando non si impone di ricercare una corrispondenza al 100% e per i motori di ricerca; quelli improntati ad una logica classica danno solo risultati legati alla esatta richiesta formulata, quelli invece con elementi di logica fuzzy o di intelligenza artificiale forniscono un ventaglio di risposte più ampio legato ad esempio ad altre ricerche simili effettuate.
Si parla di reti neurali proprio perché viene simulato il funzionamento cerebrale.

§ 1.1.3. Un cenno alla logica deontica – Le proposizioni normative non possono avere un valore di verità o falsità, se prendiamo la “forma proposizionale” kelseniana tipo “se accade la fattispecie A ne consegue la sanzione B” non potremo dare a nessuno di questi termini né un valore di verità, né un valore di probabilità come nel pensiero di Łukasiewicz, il pensiero logico è basato su frasi del tipo “se nevica allora fa freddo” sono due condizioni attuali di cui si può valutare verità o falsità (o probabilità) e non si dà il caso che esista il caso A (nevica – condizione sufficiente) senza che vi sia il caso B (fa freddo – condizione necessaria), la proposizione normativa invece è una fattispecie generale ed astratta e al suo verificarsi non scatta automaticamente la sanzione contro il trasgressore ma la previsione solo della sanzione.
Per questo motivo sono stati introdotti quattro operatori logici non vero-funzionali: “
obbligatorio” (con simbolo “O”), “permesso” (con simbolo “P”), “vietato” e “indifferente”. Per “vietato” ed “indifferente” non vi sono simboli in quanto se con “OA” indichiamo che è obbligatorio A con “¬ PA” è indicato che non è permesso A che è quindi vietato, mentre “A è indifferente” può essere indicato con “PA P¬ A” cioè è permesso sia A che non A.
La principale problematica in fatto dell’applicazione della logica in ambito giuridico è quella sopra prospettata, tuttavia il filosofo finlandese Georg Henrik
von Wright (1916 – 2003), ispirandosi alla distinzione del filosofo svedese Ingemar Hedenius (1908 – 1982) fra enunciati legali “genuini” e “spuri”, ha distinto fra norme e proposizioni normative.
Ad esempio l’enunciato “è proibito rubare” può essere inteso come dettato normativo per proibire il furto ma anche come proposizione che asserisce l’esistenza di tale norma e questo enunciato può avere i valori di vero e falso e quindi essere oggetto di un’inferenza.
Questo è un campo che è stato esplorato ancora da poco e che presenta notevoli problematiche strutturali, quindi sono ancora da risolvere non pochi paradossi già avvertiti da filosofi del diritto come il danese Alf
Ross (1899 – 1979) ma sicuramente sarà prodigo di sviluppi.

§ 2. La vendetta di Zenone –Il pensiero logico partendo da basi solide ha fatto dei grandi passi in avanti per tradurre la complessità della realtà in un’argomentazione rigorosa. I risultati strabilianti sono sotto gli occhi di tutti e potremo ben dire che viviamo in questi anni una vera rivoluzione come poche fra quelle succedutesi nella intera storia dell’umanità: la nascita dell’agricoltura ha comportato la fine del nomadismo e la costruzione di città e di relative istituzioni sempre più complesse e stabili per governarle, la rivoluzione industriale con la sostituzione del lavoro umano e manuale con quello delle macchine ha generato una ricchezza diffusa, oggi assistiamo alla rivoluzione informatica i cui contorni non sono ancora definiti ma il cui impatto può essere paragonato alle due citate rivoluzioni … tuttavia rimane in agguato la vendetta dell’Essere.
Zenone, discepolo di Parmenide, volendo sostenere la tesi del suo maestro per cui “l’essere è ed il non essere non è” elaborò dei noti paradossi fra cui forse quello più famoso è quello di Achille e la tartaruga. Secondo Zenone se noi mettiamo in competizione il piè veloce Achille ed una tartaruga ma diamo anche un piccolo vantaggio alla tartaruga, Achille non la potrà mai raggiungere. Infatti dato x il vantaggio della tartaruga, Achille per poterla raggiungere dovrà prima percorrere la metà di questa distanza, quindi un’altra metà della metà rimanente(1/4) e poi la successiva metà rimanente (1/8) e così via … essendo infinite queste metà seppur sempre più piccole Achille non potrebbe mai percorrere tale serie infinita. Con tale paradosso Zenone intendeva dimostrare l’assunto principale del pensiero di Parmenide secondo cui non essendovi altro che l’essere questo è unico, indistinto ed immobile, la pluralità, la diversità ed il movimento sarebbero quindi solo nostre mere rappresentazioni.
Zenone nel corso dei secoli, grazie a Newton e Leibniz, ha però subito un oltraggio mortale a tale suo assunto adamantino. Questi scienziati e filosofi hanno dimostrato con il calcolo infinintesimale che una serie infinita può tendere ad un numero finito e non all’infinito.

Riusciranno i logici (Achille) a raggiungere la tartaruga (la realtà)? Io credo di no.
Che la complessità della realtà non sia interamente riducibile in schemi logici o spiegabile solo con le regole del ragionamento scientifico non è solo un conato poetico o elucubrazioni di filosofi esistenzialisti tesi a spiegare in un modo o nell’altro la constatazione che fecero Søren
Kierkegaard (1813 – 1855) e Friedrich Nietzsche (1844 – 1900) ovverosia che l’esistere di ognuno di noi, l’esserci, il Dasein in quanto proprio di un soggetto unico ed irripetibile non può essere generalizzato o reso misurabile e quindi oggetto di un sapere scientifico.
Secondo me, l’impossibilità di una definitiva riduzione scientista o logicista è grazie alla benedetta/maledetta materia, quell’impasto in cui noi giuristi (e noi ufficiali giudiziari) abbiamo immerse le mani e che in un modo o nell’altro è il fine della nostra attività.
Stavolta il paradosso di Zenone è rovesciato, non è più il povero Achille a dimostrare che non può raggiungere l’immodificabile, sempiterno ed immobile Essere ma è invece la rigorosa logica che procede inanellando argomentazioni coerenti che pretende di afferrare lo sfuggente
πειρον8.

§ 3. Il ruolo dei paradossi – Dagli stessi albori della logica erano noti dei paradossi fra i quali i più noti sono il paradosso del mentitore la cui prima enunciazione è dovuta ad Eubulide di Mileto9 e quello del sorite.
I paradossi hanno impegnato alla loro risoluzione generazioni di logici fino ad oggi in quanto in entrambi i casi viene messo in crisi non il ragionamento in quanto tale (anzi è proprio la loro correttezza formale a causare una sorta di stallo logico) ma la base su cui poggia la logica ovvero la decidibilità che una determinata affermazione sia vera o falsa.

Il paradosso del mentitore ha innumerevoli varianti di cui si è occupata anche la letteratura (come Cervantes nel suo Don Chisciotte) ma nella sua versione più semplice si può esprimere così: questo enunciato è falso.
Se la proposizione è vera allora dice il falso, ma se è falsa sta dicendo il vero causando così un vero cortocircuito logico.

Il paradosso del sorite (detto anche del mucchio oppure con un diverso paragone detto pure del calvo) mina la veridicità di un’affermazione da un altro versante.
Se prendiamo un mucchio di sassolini e ne togliamo uno, il mucchio rimane tale, ma se continuiamo a toglierli quando si raggiunge quell’ennesimo sassolino che rende tale quel mucchio o non più?
In altre parole esistono dei termini (e delle realtà che il linguaggio a sua volta rappresenta) di tipo sfumato in cui i confini fra dove sia vero o falso non sono certi, la logica
fuzzy di cui abbiamo parlato nel paragrafo 1.1.2. cerca di affrontare tali problemi che tuttavia si ripropongono tutti: cosa differenzia un evento molto probabile da uno solo probabile?

Il primo paradosso gioca sui problemi dell’autoreferenzialità e la sua importanza è testimoniata dal fatto che tale paradosso fece collassare il progetto logicista di Frege ed Hilbert con la sua versione conosciuta come paradosso di Russell.
Frege voleva costruire grazie alla teoria degli insiemi una logica non solo totalmente dimostrata al suo interno ma che potesse anche dimostrare tutti gli assunti matematici.
Il giovane Russell scrisse una famosa lettera a Frege, che stava per dare alle stampe la sua opera con la quale intendeva dimostrare il suo impianto logicista, in cui faceva notare che se è vero che vi può essere un insieme di tutti gli insiemi ed un insieme che può contenere se stesso
un insieme di tutti gli insiemi che non contengono se stessi non potrebbe appartenere a se stesso perché appunto avrebbe la proprietà di contenere se stesso, ma non potrebbe al contempo neanche non appartenervi.
So bene che un giurista a questo punto inizierebbe a storcere il naso sostenendo subito che l’unica dimostrazione di questo paradosso è che i logici riescono ad essere più pazzi e visionari dei filosofi (si ritorna al tema odio/amore di cui al primo paragrafo) ma il mondo logico, matematico ed anche filosofico non si può permettere di fare spallucce su queste tematiche proprio perché una legge logica per poter avere una sua validità deve essere universale; ma non è forse vero che anche nel mondo giuridico una norma da cui si potrebbe far discendere la sansionabilità oppure l’esatto contrario di un dato comportamento è un
vulnus per tutto l’ordinamento?
Deposta la toga di avvocato d’ufficio della logica, bisogna concludere che la risposta che Frege diede al giovane ed allora sconosciuto Russell può essere annoverata fra gli esempi più alti di correttezza scientifica che vi siano mai stati, per il resto della sua vita, non riuscendo a smontare il c.d. paradosso di Russell, Frege si dedicò ad altro non riuscendo più a produrre contributi scientifici alla sua altezza. Lo stesso Russell che volle fondare su solide basi la matematica si impegnò insieme ad Alfred North
Whitehead (1861 – 1947) a risolvere il paradosso che aveva creato con una complessa teoria dei tipi ed in seguito un altro logico, il polacco Alfred Tarski (nato Teitelbaum 1901 – 1983), tentò di risolverlo facendo ricorso ad un “metalinguaggio”; resta il fatto che tali paradossi siano un affascinante territorio di confine non solo della logica ma di tutto il pensiero umano.
Che tale territorio di confine non segni solo una disfatta, un limite invalicabile a noi umani, ma sia terreno per un ulteriore balzo in avanti prova ne è che, proprio grazie al meccanismo dell’autoreferenza, il giovane Kurt Gödel nel 1931 dopo aver provato il teorema della completezza della logica (ovvero la proprietà per cui ogni proposizione formulata correttamente, ovvero secondo le regole sintattiche dello stesso sistema, può essere dimostrata o confutata all’interno del sistema stesso) demolì il progetto logicista che voleva una matematica dimostrata nei sui stessi assiomi con il teorema di incompletezza (diviso in due teoremi).

Nella critica della ragion pura Immanuel Kant (1724 – 1804) esaminando la conoscibilità delle idee trascendentali (mondo, Dio e anima) redasse le famose antinomie, in una colonna provava una tesi e nell’altra colonna provava la tesi diametralmente opposta, pertanto nel sistema kantiano la ragione se voleva essere coerente lo doveva fare a prezzo della sua completezza. Oltre cento anni dopo Kant, Gödel giunse con una rigorosa dimostrazione logica a risultati analoghi anche per la matematica prendendo in considerazione il ramo più semplice di questa ovvero l’aritmetica.
Gödel trasformò la proposizione “
questo enunciato è falso” in “questo enunciato non è dimostrabile” e tramite un procedimento chiamato godelizzazione trasformò questa proposizione in un enunciato della matematica con gli stessi risultati paradossali del mentitore; l’incompletezza della matematica vuol dire che qualsiasi sistema assiomatico coerente all’interno dell’aritmetica, così come sviluppato dai Principia Mathematica di Russell e Whitehead, è per sua natura incompleto10, pertanto, ritornando a Kant, il sistema è coerente a scapito della sua completezza.

§ 4. Su ciò di cui non si può parlare si deve tacere – Se partiamo dall’assunto parmenideo “l’essere è ed il non essere non è” e ci guardiamo intorno, anziché sentirci padroni dell’essere e di quanto il nostro sguardo possa abbracciare saremo costretti a vivere la fastidiosa sensazione di essere ridotti allo scomodo strapuntino che ci hanno disegnato René Descartes (Cartesio 1596 – 1650) da una parte (dubito ergo sum) ed Martin Heidegger (1889 – 1976) dall’altra (essere per la morte), tornando con la mente a Kant e Gödel se la coerenza della filosofia si paga con la sua incompletezza saremo tentati di dire che la filosofia ha pagato il prezzo più alto fra tutte le scienze!
Come fu per il mio “
Il problema della giustizia nel procedimento esecutivo” è grazie a Vico, mio Virgilio, che si torna a riveder le stelle!
Perché è proprio grazie alla storia ed al diritto che quello scomodo strapuntino ci basta per farne un trampolino per spiccare il volo, della nostra storia e del nostro diritto non solo possiamo ma dobbiamo parlare. Ma per parlarne dobbiamo prima saperne parlare.
Secondo Aristotele “del particolare non si dà scienza” ovvero dalla induzione empirica non si può giungere ad un vero sapere che consiste in categorizzazioni universali, il vero sapere sarebbe invece quello deduttivo con un percorso tipico segnato dal sillogismo

Per Ludwig Wittgenstein (1889 – 1951) il linguaggio riesce a parlare della realtà in quanto vi è un isomorfismo sottostante rappresentato dalla logica, ma la logica non è una verità ultima situata nel’iperuranio platonico che ha una sua oggettività fuori del mondo che rappresenta, ed è questo il motivo per cui non può parlare del suo stesso essere e l’ultima proposizione del suo Tractatus che riporto come titolo del presente paragrafo sta a segnare il confine del linguaggio che non può andare oltre a tutto ciò che accade, tutto quello che sta al di fuori, che magari è la meta anelata dei nostri pensieri (e qui torniamo alle idee trascendentali kantiane di universo, anima e Dio) rimane strutturalmente indicibile.
Abbiamo già visto come la logica non si può applicare
sic et simpliciter al diritto e lo stesso Wittgenstein riformulò la sua teoria nelle Ricerche filosofiche (pubblicate postume) ammettendo che come vi sono più modelli di gioco vi possano essere più linguaggi, ma per quanto riguarda noi giuristi la questione rimane sempre la stessa: il diritto è un reticolo di regole che vengono imposte ai consociati ne cives ad arma ruant ma al contempo si rivolgono al suo interno sia come regole di produzione giuridica, sia come regole di interpretazione e sia come norme di esecuzione.

Riassumendo: a) La logica è uno strumento potente perché ci consente di verificare se una conclusione mantenga il valore di verità assunto nelle sue premesse;
b) la logica non può (o non può ancora): b.1) pienamente occuparsi di valori che non siano predeterminati di verità/probabilità; b.2) pienamente occuparsi di comandi;
c) la logica cade in paradossi allorquando parla di se stessa (paradosso del mentitore) e allorquando lo stesso oggetto è intrinsecamente non determinabile (paradosso del sorite);
d) il linguaggio riesce a rappresentare il mondo (tutto ciò che accade) grazie alla medesima struttura logica che lo regola ma nulla oltre ciò;
Inoltre: 1. – il diritto è creazione umana che regola ogni campo umano;
2. – il diritto necessita di coerenza e prevedibilità.

In altre parole ci sono tutti gli elementi di una contorta storia d’amore in cui i due amanti sembrano destinati a non unirsi mai, ma che vogliono anche prevalere l’uno sull’altro.

§ 5. – Ἐν ἀρχῇ ἦν ὁ λόγος – Queste semplici parole (in principio era il Verbo) tratte dal prologo del Vangelo di San Giovanni bastano ad azzerare le pur instabili conclusioni a cui eravamo giunti. San Giovanni ci sta dicendo che il Cristo è λόγος (logos, da cui il termine stesso di logica) ovvero Parola o Verbo di Dio e che quindi il λόγος non solo è ponte fra noi uomini e Dio ma che è consostanziale al Padre Creatore. Certo, questa può essere una semplice verità di fede che non deve per niente vincolare lo scienziato ma, crediamo o meno alle verità che le varie fedi ci affermano, il linguaggio riesce a proiettarsi oltre i confini umani che siano un opera che narra una verità divina rivelata o un opera poetica e di questa capacità/potenzialità chi indaga razionalmente il λόγος deve pur tener conto.

La questione ricorda quella dell’ostinata quanto vana ricerca della mathesis universalis ossia un linguaggio razionale comune e sottostante ad ogni scienza capace di districare tutti i nodi e quindi di approdare al calculemus leibniziano.

Se la realtà è un sinolo inestricabile di forma/λόγος e sostanza/materia è conseguentemente del tutto inutile cercare solo nella pura forma le regole a cui la materia si dovrebbe docilmente sottomettere.
La nostra ricerca per poter esser utile deve piuttosto orientarsi ad indagare le interazioni tra quello che nel precedente paragrafo chiamavo il nostro strapuntino ed il mondo.

Tutto ciò è alquanto chiaro nel diritto, mentre i romani, molto più concreti non dicevano “io ho un diritto” ma “io ho un’azione” ossia qualcosa non di astratto ma il mezzo per tutelare giudizialmente certe mie ragioni via via nei secoli il diritto si è andato sempre più astraendo e il manuale di Gaio prima ed il Code Napoleon dopo sono incentrati su un diritto astratto11, quello della proprietà, assunto come inizio e fine di tutte le attività umane e quindi assunto a perno su cui far ruotare tutta la legislazione: il primo libro del codice trattava dei soggetti che potevano essere titolari della proprietà (e quindi le persone, matrimonio e filiazione), il secondo libro dei diversi tipi di beni e di come dal diritto di proprietà (a seconda delle sue modalità di compressione) nascano altri diritti reali quali l’usufrutto e le servitù ed il terzo libro deputato a trattare dei modi di acquistare e di trasmettere la proprietà e gli altri diritti sulle cose.
Questa costruzione è stata oggetto di critica in quanto figlia di una
Weltanschaung borghese che incentrava nella proprietà il motore immobile di tutta la società. Successivamente il legislatore del ventennio fascista, più orientato al bene supremo della produzione, tentò di disarticolare questa struttura unificando il codice civile con quello di commercio affiancando così nel libro quarto “delle obbligazioni” contratti tipicamente della tradizione civilistica a contratti provenienti dal codice di commercio e disciplinando nel libro quinto “del lavoro” quello che è invece il polo di attrazione della modernità ovvero l’impresa nella sua forma individuale che associata e disciplinando quello che è il motore dell’impresa e della produzione industriale ovverosia il lavoro.
L’Europa, ancora non nuovo Stato e nuova potenza che faticosamente tenta di affermarsi tra gli egoismi nazionali, è da una parte divisa: a) tra l’aspirazione ad una nuova grande stagione di codificazione come pietra fondante e legittimante, b) tra la consapevolezza che non sia più possibile percorrere la vecchia strada delle vecchie codificazioni ottocentesche e c) tra la necessità di non comprimere il principio di sussidiarietà tra la legislazione nazionale e quella comunitaria.
Quanto sarebbe allora più utile una rivoluzione copernicana nell’ambito del diritto!
Non più partire da un’elencazione di diritti, per poi giungere ad una legislazione processuale servente a quelli ed una ulteriore legislazione ordinamentale delle professioni giuridiche che sono i soggetti della legislazione processuale ma invertire l’ordine con una legislazione comunitaria di statuti professionali di avvocati (coloro che azionano i vari diritti nel processo), degli ufficiali giudiziari (coloro che tutelano quei diritti una volta cristallizzati in un titolo esecutivo) e dei notai (coloro che ricevono le volontà negoziali dei soggetti di diritto per produrre degli atti pubblici che possano fungere da titolo esecutivo e che siano opponibili
erga omnes grazie alla trascrizione). Partendo da una legislazione comunitaria dei soggetti professionisti del diritto, sarebbe salvo il principio di sussidiarietà visto che poi in ogni paese la legislazione nazionale detterebbe la specifica disciplina dei singoli diritti.
In altri termini, anche a livello di legislazione si è andati alla ricerca di categorizzare, di un λόγος astratto mentre invece si deve partire dal concreto operatore che realizza il diritto concreto.

Altro campo in cui una diversa prospettiva ha notevoli conseguenze è quello della psicologia/psichiatria. A differenza della dicotomia cartesiana di anima e corpo che riduceva le malattie psichiche a malattie di un organo ovvero il cervello, il filosofo tedesco di scuola fenomenologica Karl Jaspers (1883 – 1969) inquadrava le psicosi come uno scorretto porsi di un soggetto (in un sinolo tra anima e corpo) con il mondo inteso con solo come altri soggetti ma come tempo vissuto.
Il rapporto fisiologico del soggetto con il mondo è quello di progettare il futuro guardando al proprio passato
12; chi si chiude nel passato annullando la dimensione presente e futura si chiude nella depressione, mentre chi invece dilata il proprio presente senza vincoli con il passato e senza responsabilità progettuali sul futuro è caratterizzato da un iperattivismo maniacale.
Il pensiero di Jaspers è inoltre prezioso perché pur rispettando il pensiero scientifico (era un medico psichiatra la cui prima grande opera
Allgemeine Psychopathologie13 ebbe un notevole influsso in materia) non riduce il pensiero e l’essere in una visione scientista.
Il pensiero filosofico ha secondo Jaspers un fondamentale ruolo di cerniera tra il mondo scientifico ed in mondo del trascendente.

Conclusioni – Al termine di questo lavoro mi corre l’obbligo di offrire al lettore una mia risposta alla domanda da cui siamo partiti.
Allorquando pretendiamo di scindere il sinolo materia –
λόγος ed intendere il diritto come deputato a portare nel mondo un suo ordine (un suo λόγος) allora qualsiasi altro pensiero innovativo (che sia di tipo scientifico, filosofico o trascendente) può esser visto come pericoloso ed eversivo del sistema e pertanto la macchina giudiziaria farà di tutto per fermarlo.
Per praticare la tolleranza bisogna però conoscere le ragioni, avere un quadro operativo chiaro.
Ho prima accennato alla speciale collocazione che dà Jaspers alla filosofia, a mo’ di cerniera tra il mondo delle c.d. scienze esatte e la trascendenza. Ritengo che è proprio in questa terra di mezzo debba esser collocato il pensiero e l’opera giuridica che non ha titolo per dettare agli altri due campi il loro statuto ontologico ma che altrettanto non deve permettere che questi altri due campi lo dettino a lei.
Dati questi confini è ora comprensibile come e perché il pensiero ed il sistema giuridico non debbano temere il pensiero scientifico o altra narrazione a riguardo della trascendenza.

Fra i grandi processi della storia va senz’altro annoverato quello a Luigi XVI, è estremamente interessante leggere il pensiero dei rivoluzionari a tal proposito.14
La stessa esistenza in vita del monarca (come di tutta la sua famiglia reale) erano visti come un’affermazione dell’esistenza e possibile persistenza della monarchia sulla nascente repubblica, motivo quindi sufficiente per metterlo a morte a dispetto della mancanza di uno
ius positum a tal riguardo.

Il tema se uno Stato si possa difendere neutralizzando un potenziale pericolo interno od esterno facendo uso anche della pena capitale a dispetto del principio nulla poena sine lege è tale che non può essere sbrigativamente risolto nelle battute finali di questo lavoro, ma è stato introdotto per rimarcare il fatto che la disciplina di una comunità umana grazie ad un sistema normativo non si può ridurre ad un sistema logicamente concatenato.

Ma come può un lavoro che ha come titolo “L’azione esecutiva tra materia e logos” non affrontare le tematiche operative di un ufficiale giudiziario?
Posso assicurare i colleghi che la nostra realtà operativa mi è stata sempre ben presente e che anzi la mia esperienza mi ha ispirato nello stendere questo lavoro sin dall’inizio.
Il fatto è che il nemico principale della nostra funzione è la convinzione che il momento esecutivo possa essere ridotto a mera attività pratica, da una parte sta il λόγος delle leggi e delle sentenze, dall’altra l’esecuzione, mera materia che potrebbe essere eterodiretta da uno scranno giudiziario e/o legislativo a mo’ di drone.

L’idea stessa è semplicemente ridicola alla luce di tutto quanto finora detto; non solo il λόγος ha dei limiti nello spiegare il mondo e se stesso ma non si può separare surrettiziamente l’attività esecutiva “materiale” dal momento della decisione e dell’interpretazione.
Il sistema giudiziario è retto dalla sua coerenza interna ed esterna e poiché è destinato a produrre i suoi effetti nel mondo anche l’ultimo anello della catena della nomodinamica kelseniana deve avere una sua autonomia operativa pertanto terzietà, professionalità, autonomia e necessarietà della funzione
15 non sono mere rivendicazioni categoriali ma semplicemente il presupposto per un’amministrazione efficiente della giustizia.

Bibliografia

L’immagine in copertina è “La Ragione”, olio su tela 100 x 100 di Alessandro Licciardello.

Saverio Ansaldi, Giordano Bruno – L’eretico impenitente e ostinato, RCS, Milano, 2019;

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Apostolos Doxiadis, Christos H. Papadimitriou, Alecos Papadatos, Annie Di Donna, Logicomix, (trad. Paola Eusebio), Le Scienze, Roma, 2017;

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Graham Priest, Logica, Codice ed., Torino, 2012;

Gianni Rigamonti, Corso di logica, Bollati Boringhieri, Torino, 2005.

1 Premessa alla premessa – Caro collega, se cerchi in queste pagine una pronta risposta ai tuoi problemi operativi, ti consiglio di non perdere oltre il tuo prezioso tempo, ti avverto, non intendo fornire risposte semplici a problemi complessi e millenari, anzi dubito che le mie si possano chiamare risposte visto che il mio obiettivo è piuttosto quello che il mio lettore ponga a se stesso ed agli altri consapevoli domande.
Si deve pretendere che il diritto (e la filosofia) non siano complicati, ma non che non siano complessi!

2 Si veda la mia presentazione ai paragrafi § 2.2.1 e § 2.2.2. https://www.auge.it/il-problema-della-giustizia-nel-procedimento-esecutivo-brasilia-04-aprile-2019

3 Gottlob Frege (1848 – 1925), il più grande logico dopo Leibniz, i sui maggiori contributi furono quello della formalizzazione del pensiero logico (Begriffschrift “ideografia” del 1879) anche se successivamente sono state adottate formalizzazioni meno complicate e quello dell’unificazione dei due campi della logica: la logica predicativa aristotelica (grazie all’introduzione dei quantificatori universale “” ed esistenziale “∃” e la logica proposizionale di scuola stoica.. Con la sua altra grande opera in due volumi Grundgesetze des Arithmetik “le leggi fondamentali dell’aritmetica” (1893 e 1903, la lettera di Russell citata nel testo arrivò poco prima della stampa del volume del 1903) Frege voleva fondare l’intero edificio della matematica sulla logica.

4 David Hilbert (1862 – 1943) è considerato uno dei più grandi matematici della storia, in contrapposizione all’altro grande matematico del suo tempo Henri Poincaré (1854 – 1912), famoso per il suo discorso al II congresso internazionale di matematica tenutosi a Parigi nel 1900 dove presentò 23 sfide da risolvere nel XX secolo (celebre la sua frase: wir müssen wissen und wir werden! “dobbiamo sapere e ci riusciremo!”) di cui sono state risolte totalmente solo undici e sette solo parzialmente. Negli anni venti del 1900, il suo pensiero culminò in quello che viene chiamato “programma di Hilbert”, ovvero il progetto di formalizzazione della matematica su basi assiomatiche in cui si cercava di dimostrare anche la coerenza della stessa assiomatizzazione (c.d. metamatematica).

5 Bertrand Russell (1872 – 1970) fu non solo un logico impegnato a fornire un fondamento coerente alla matematica ma anche un grande attivista politico nell’ambito del pacifismo e diffusore del sapere scientifico e filosofico.

6 Carl Friedrich Gauss (1777 – 1855) chiamato il principe dei matematici, diede il suo formidabile contributo nei campi più disparati di matematica, statistica, fisica ed astronomia.

7 Georg Cantor (1845 – 1918) formalizzò la teoria degli insiemi e studiò le proprietà dell’infinito ipotizzando due tipologie di infinito.

8 πειρον (apeiron) è il principio di tutto, l’indefinito ovvero l’unione indistinta del tutto così individuato dal filosofo di Mileto Anassimandro (610 circa – 546 circa a. C.).

9 Filosofo megarico del IV sec. a.C. contemporaneo di Aristotele.

10 Più precisamente, il primo dei due teoremi di incompletezza stabilisce che in un sistema logico assiomatico sufficientemente espressivo da potere assiomatizzare le teorie elementari dei numeri naturali – vale a dire sufficientemente espressivo da definire la struttura nei numeri naturali dotati delle operazioni di somma e prodotto – è sempre possibile costruire delle proposizioni sintatticamente vere, secondo le regole del sistema, che non possono essere né dimostrate né confutate all’interno dello stesso sistema. Il secondo teorema, invece, stabilisce che nessun sistema coerente può essere utilizzato per dimostrare la sua stessa coerenza.

11 Definire la proprietà come “diritto astratto” può sembrare provocatorio ma non lo è, siamo così abituati a considerare lo ius utendi fruendi et abuendi come basilare che non ci rende conto che la proprietà non è che una delle tipologie di godimento e disponibilità che un uomo può avere sulle cose. Dal diritto feudale che distingueva tra un dominium eminens ed un dominum utile al moderno leasing molteplici sono le possibilità di godere e poter disporre di un soggetto su un bene.

12 Non si possono non riscontrare affinità tra questo pensiero di Jaspers e le considerazioni di Walter Benjamin (1892 – 1940) sull’Angelus novus.

13 Psicopatologia generale pubblicato nel 1913.

14 Louis Antoine Léon de Saint-Just (1767 – 1794) nel suo discorso del 13 novembre 1792 alla Convenzione sul processo a Luigi XVI respinse sia la tesi di processare il re come un semplice cittadino sia la non punibilità del monarca con queste parole: “Io dico che il re deve essere giudicato come un nemico, che dobbiamo combatterlo piuttosto che giudicarlo e che, non rientrando egli nel contratto che unisce i francesi, le forme della procedura non si trovano nella legge civile ma nella legge del diritto dei popoli […] Gli uomini che stanno per giudicare Luigi hanno una repubblica da fondare: ma coloro che attribuiscono una qualche importanza alla giusta punizione di un re, non fonderanno mai una repubblica […] cosa non temeranno da noi i buoni cittadini, vedendo la scure tremare nelle nostre mani, e vedendo un popolo che fin dal primo giorno della sua libertà rispetta il ricordo delle sue catene?”.
Secondo Saint-Just, Luigi XVI non può essere giudicato secondo le leggi in vigore, perché “
i cittadini si legano fra di loro col contratto; il sovrano non si lega affatto […] il patto è un contratto fra i cittadini, non con il governo; non si può rientrare in un contratto nel quale non ci si è impegnati. Di conseguenza Luigi, che non si era impegnato, non può essere giudicato come cittadino […] quest’uomo deve regnare o morire […] Processare il re come cittadino! Un’idea simile strabilierà la fredda posterità. Giudicare significa applicare la legge; una legge è un rapporto di giustizia; e che rapporto di giustizia ci può mai essere tra l’umanità e i re? Che cosa c’è in comune tra Luigi e il popolo francese, perché gli si usino dei riguardi dopo il suo tradimento? […] Non si può regnare senza colpa. Ogni re è un ribelle e un usurpatore. Gli stessi re tratterebbero diversamente i loro pretesi usurpatori? […] Cittadini, il tribunale che deve giudicare Luigi non è un tribunale giudiziario: è un consesso, è il popolo, siete voi: e le leggi che dobbiamo seguire sono quelle del diritto dei popoli […] Luigi è uno straniero fra noi: non era cittadino prima del suo delitto, non poteva votare, non poteva portare le armi; lo è ancor meno dopo il suo delitto […]”.

Maximilien-François-Marie-Isidore de Robespierre detto l’Incorruttibile (1758 – 1794) a tal proposito disse: “O egli viene condannato o la Repubblica non viene assolta”.

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